Lettera n° 3 del Dirigente Scolastico: finale.


10 giugno 2020

 

Buongiorno a tutti,

 

Scuola anche quest'anno è finita.

Andiamo in pace, fine.

Basterebbe questo per regalare a tutti quel senso di liberazione che ogni anno contraddistingue questo giorno; banale, ma quanto duramente abbiamo tutti imparato ad avere nostalgia per le banalità.

Personalmente appena l'emergenza sarà finita voglio tornare a Roma e passare due ore nella metropolitana, con la calca dell'ora di punta: potrei commuovermi ritrovando quella fastidiosissima fisicità che sono gli altri, che sono quanto ci è più mancato in questa maledetta primavera.

Fortunatamente il periodo critico dell'emergenza ci ha, come scuola, soltanto sfiorato, ma in questo giorno - il mio primo ultimo giorno di scuola da dirigente - avrei voluto tutt'altra atmosfera: in effetti avevamo a febbraio già cominciato a lavorarci, poi è andata così, come sappiamo.

A me, personalmente, basta sapere che là fuori siete sani e salvi, stanchi annoiati e scalpitanti come è giusto che sia: perché nel dibattito, che verrà certamente, sul che fare a settembre, è utile mantenere ferma la premessa: la salute è un diritto costituzionale quanto l'istruzione.

Ciò non toglie che ne è nato un anno strano, sicuramente, e se non è mio compito analizzare la politica sanitaria, lo è invece preoccuparmi della didattica della nostra scuola. Come sempre, ci sono infinite luci e ombre, certo, forse troppo lunghe da analizzare tutte. Alcune sono ormai chiare a tutti: ci manca la scuola, che è sguardi, sorrisi, rimproveri, fatica, frustrazione, prossemica e comunicazione continua: in presenza è impossibile non comunicare, infatti. Uno studente che dorme con la testa sul banco sta comunicando, infatti. Un docente annoiato in cattedra, comunica, infatti. Esattamente questa dose massiccia di comunicazione è saltata nella distanza digitale, inevitabilmente.

Quando dico che questa esperienza è solo un pezzo di scuola, sostengo esattamente quanto diciamo noi adulti ai ragazzi fissati coi social: nella rete c'è molto, ma pur sempre solo un pezzo della vita. E’ stato un po’ come far recitare l’Amleto dentro le Instagram stories. Si può discutere di quanto tutto quel che ruota attorno alla didattica sia decisivo ai fini dell'apprendimento, sarebbe dibattito interessante, ma resto convinto che la scuola, per come la sogno e l'ho sempre vissuta, sia composta anche di tutta questa vita che scorre -  forzatamente magari - insieme.

Aggiungo poi che questa vita a distanza è costata a tutti decuplicate fatiche, mentali ma anche fisiche; ringrazio quindi i docenti, che nella confusione dell'emergenza prontamente si sono attivati, ognuno con le proprie risorse, per fare quel che c'era da fare. E ringrazio gli studenti che superato l'iniziale smarrimento si sono messi al lavoro, imparando a gestire un mondo tutto nuovo: sono abbastanza convinto che avete acquisito competenze che si riveleranno utili per il vostro futuro, in queste settimane: autonomia, responsabilità, saper chiedere aiuto e presentare correttamente problemi, per non parlare sempre e solo delle competenze digitali (che probabilmente per molti di voi nativi digitali sono state anche sovrastimate da noi adulti). E ovviamente grazie alle famiglie, che hanno dovuto fronteggiare le difficoltà della quarantena e dell'infrastruttura tecnologica, l'angoscia e la confusione di alcuni momenti.

Personalmente sono portato ad essere ipercritico, avremmo potuto fare meglio, certo, avrei voluto. In particolare per le disparità di dotazioni tecnologiche e di connettività, avrei e avremmo tutti voluto fare di più, affinché nessuno restasse indietro. Tuttavia mi auguro che concorderemo tutti che il bilancio di questi mesi è più che sufficiente: la scuola è andata avanti, sperimentando nuovi modi, aggiornandosi rapidamente, ristrutturandosi da capo a piedi. I vostri apprendimenti sono andati avanti, e quel che manca recupereremo. Ci sono state poi occasioni per abbracciarsi virtualmente, non ultima Radiogalvani che mi ha fatto compagnia negli ultimi due mesi ogni giovedì, e già mi manca.

Sto dilungandomi. Provo a riassumere: ricordo bene i primi di marzo, e a ripensarci adesso le cose sono andate meglio di quanto pensassi. La scuola - in generale - ha dovuto imboccare per forza una strada di modernizzazione che sarà probabilmente una risorsa in futuro, questo è innegabile; e la scuola - intesa come Liceo Galvani stavolta - anche se non si è trovata pronta, ha reagito all'emergenza: le limitazioni sono il primo stimolo alla creatività, e non avete mai smesso di produrre bellezza, nonostante tutto.

Forse è una scuola fluida, quella che abbiamo assaggiato: una scuola dove la parete tra docenti e studenti si è in gran parte frantumata, scoprendo una nuova intimità, condividendo quotidiane incombenze, scoprendoci - volenti o nolenti - nuovamente esseri umani prima di genitori studenti e docenti. Continuo a preferire il suono della campanella, ma l'emergenza mi ha insegnato ancora una volta a guardare al futuro pensando alle opportunità da cogliere prima che alle paure, senza per questo "buttare il bambino con l'acqua sporca".

Come esempio finale voglio prendere proprio Radiogalvani, perché è una di quelle cose da cui io sono semplicemente stato travolto: chi gliel'ha fatto fare a quella banda di sventurati, di caricarsi anche questo impegno? Perché ogni settimana non era poco il lavoro da fare, per puntate che settimana dopo settimana si sono arricchite. Ecco, chi glielo fatto fare? Che poi è domanda che riguarda tutti: chi ce lo fa fare? (Quante volte ce lo domandiamo tutti)

La riposta la sanno loro, ovviamente; io mi sono fatto l'idea che sia l'orgoglio del lavoro ben fatto e della fatica ben spesa. Pensare, progettare, realizzare: mano e occhio, insomma, è la natura stessa della nostra scuola. Ma non solo: l'ultimo giorno di scuola è una giornata stranamente affettuosa, di solito, piena di lacrime e sorrisi. Ecco, qui c'è la risposta per chi vuole capire cosa sia la scuola, cosa ha provato ad essere anche in questa didattica "di vicinanza" (nonché di emergenza). Insomma, quel che voglio dire è che la scuola si è allargata improvvisamente facendo scoprire a tutti un banalissimo segreto: bene o male, volenti o nolenti, ci vogliamo bene (siamo comunità, suona più professionale).

E con questo potrei concludere, ma l'ultimo pensiero va ai maturandi, alle prese con l'ansia di un esame apparentemente facilitato, in realtà inedito e forse più preoccupante del solito. Siate bravi e siate voi stessi: non abbiate paura, avanzate sorridendo sotto la mascherina, e dimostrate quello che sapete fare. L'esame lo sosterrete sempre prima di tutto davanti voi stessi (capacità di autovalutazione, in lingua ministeriale).

Un abbraccio.

 

Il Dirigente Scolastico

Enrico Quattrin